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Provocare innovazione e sperimentazione

Molti pensano che promuovere innovazione “vera” sia un lavoro di grande soddisfazione, “cool”. I miei amici rimangono molto stupiti quando racconto di quanto tempo si impiega per costruire una partnership – da sei mesi a un anno – e il numero di call necessarie per far partire un progetto (in media una ventina). Non immaginano quanti siano gli alti e bassi emotivi di questo percorso che devi gestire, sia tuoi che del tuo interlocutore.

Quando finalmente l’accordo sembra essere stato trovato, arriva una ristrutturazione aziendale e cambia l’interlocutore, una priorità e il progetto di innovazione slitta. L’innovazione può sempre aspettare, non è urgente, è un investimento nel futuro; un futuro più o meno prossimo a tutti, ci auguriamo non sia remoto. A volte capita che il tuo interlocutore cambi capo e tutto il materiale di presentazione del progetto deve essere modificato e adattato per essere apprezzato, un capo è strategico, l’altro è analitico o tecnico, un altro è commerciale.

 

 

I miei amici, a volte anche i colleghi, pensano che il mio interlocutore sia una persona avida di innovazione e di sperimentazione, la persona ideale alla quale proporre di fare cose nuove con effetto wow. Non è così. L’effetto wow esiste nel B2C, non nel B2B. Nel B2B esiste un contesto aziendale al quale il mio o i miei interlocutori appartengono e che ancora oggi spesso non è propenso a rischiare. Molti manager incontrati in questi anni sono restii ad approvare ed a investire in progetti innovativi a medio o alto rischio, a volte anche a basso rischio economico, di tempo, di energie. Accantonano nuove idee in favore di miglioramenti marginali, riduzione dei costi e investimenti che ritengono sicuri.

Rinuncio a proporre innovazione? Assolutamente no, l’innovazione è evoluzione. Questo concetto è particolarmente evidente quando parliamo di sostenibilità ambientale, per esempio. Se vogliamo ridurre le emissioni di CO2 e/o altri inquinanti dobbiamo avere sensori che li misurino per comprenderne gli andamenti e dobbiamo svolgere analisi complesse per decidere come intervenire. Essendo un vecchio problema, che oggi deve essere risolto, si devono tentare diverse strade, che devono essere verificate e testate. Per avere una migliore qualità dell’aria serve tanta sperimentazione, non è banale perché i risultati positivi non sono scontati.

 

 

Non sto parlando di progetti da milioni di euro. Molti manager si sottraggono anche a progetti con cifre inferiori a € 10.000.

È evidente che non mi posso fermare di fronte al manager riluttante all’idea di allocare delle risorse in progetti con una percentuale di rischio e che tende a rifugiarsi in soluzioni familiari, che hanno già funzionato in passato, per ridurre gli insuccessi. Non ridurre l’inquinamento è il più grande insuccesso al quale si possa contribuire. Devo provare a persuaderlo.

Tra le tecniche che utilizzo con i riluttanti vi è la provocazione. Cerco di mostrare al mio interlocutore che il progetto familiare, che tanto vorrebbe finanziare, non genera valore o ne genera veramente poco rispetto al precedente già svolto nel passato. Lo accompagno nel ragionamento dopo aver studiato e analizzato il contesto nel quale vive. Gli suggerisco soluzioni scalabili, che richiedono una partenza con un basso rischio e presento i risultati ottenuti prima di procedere ad un avanzamento del progetto. Questo approccio permette di iniziare a concretizzare quella che è un’idea astratta e a familiarizzare con la metodologia dell’open innovation.

Il cliente/partner ideale dell’innovazione è una persona disposta ad ammettere di avere torto, una persona di larghe vedute, conscia della sua conoscenza limitata che, spinta dalla curiosità, è capace di andare oltre il noto per fare nuove scoperte, arricchire le proprie conoscenze e il decantato know-how aziendale. È una persona che non ha paura del rischio, sa come gestirlo e sa che è insito nel fare business, nel fare impresa e nel voler continuare a farlo, ma di clienti/partner ideali non ce ne sono molti.

 

 

Per fortuna, accanto alle persone e ai manager reticenti, vi sono ecosistemi che favoriscono l’innovazione, come gli innovation hub, che la stessa Comunità Europea ha promosso. Creati nel 2008, sono diventati un esempio ed hanno favorito la crescita dei tanti altri innovation hub meno blasonati, ma molto efficienti ed efficaci. Sono luoghi dove si incontrano e interagiscono tra loro le istituzioni, la ricerca e le imprese, siano esse startup, piccole, medie o grandi aziende, per accrescere l’impatto delle nuove tecnologie per una migliore qualità di vita di ognuno di noi. Sono luoghi di confronto dove si condivide il rischio di innovare grazie anche all’applicazione di modelli di collaborazione come l’open innovation.

Mi ritengo fortunata a lavorare in questo ambito, non perché promuovere l’innovazione sia facile, ma perché posso partecipare a progetti che mi aiutano ad accettare e sfidare la complessità, che mi facilitano la comprensione di dinamiche estremamente complicate come quelle presenti nelle Smart City.

Incontro persone reticenti che mi obbligano ad approfondire quello che propongo e come lo propongo, che mi costringono a mettere in discussione quello che a mio avviso è avvincente e non rifiutabile e che loro non accettano. Il confronto con chi la pensa in modo diverso da me mi permette di continuare il processo evolutivo personale e mi arricchisce di punti di vista, che a volte comprendo ma non condivido, mentre altre volte mi inducono a cambiare idea.

Non mi sento mai arrivata e non mi annoio mai, mi sento sempre in viaggio!

 

 

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Tag: Innovation